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Luoghi Un capolavoro d’ingegneria: l’Acquedotto Carolino

Un capolavoro d’ingegneria: l’Acquedotto Carolino

Carlo di Borbone, con l’ambizione di creare una nuova capitale degna di un re, incaricò Luigi Vanvitelli di edificare la più bella delle residenze reali a Caserta e di risolvere il cronico problema dell’approvvigionamento idrico. L’architetto, di fronte a una sfida ingegneristica senza precedenti, ideò un’ opera di ingegneria idraulica monumentale che, oltre ad alimentare la reggia e i suoi giardini, avrebbe dovuto incrementare la rete idrica di Napoli.

Dopo una lunga ricerca, la sorgente ideale fu individuata alle falde del Monte Taburno nel territorio di Airola. Il Vanvitelli superò ostacoli naturali e logistici per portare a compimento un’opera che sarebbe diventata simbolo del potere e della magnificenza borbonica. Il cantiere fu diviso in tre tronchi dal Monte Fizzo al Monte Ciesco, dal Monte Ciesco al Monte Garzano, e da lì alla Reggia.

L’Acquedotto Carolino, chiamato così in onore di Carlo di Borbone, fu costruito in 17 lunghi anni di lavoro. La sua massima lunghezza raggiunge quasi i 40 km e attraversa i territori a cavallo tra la provincia casertana e quella beneventana. Si snoda quasi interamente sottoterra, emergendo solo in alcuni brevi punti e a Valle di Maddaloni negli imponenti ponti, lunghi oltre mezzo chilometro e alti quasi sessanta metri.

Ma cosa rende così speciale questa costruzione?

Al momento della sua realizzazione (i lavori iniziano nel 1753 e terminano intorno al 1770), l’Acquedotto Carolino era considerato una delle più grandi opere idrauliche d’Europa. La sua lunghezza, la portata d’acqua e la complessità del sistema di distribuzione erano davvero impressionanti per l’epoca. Il tutto realizzato senza le moderne macchine da lavoro.

Un ramo dell’acquedotto, prima di raggiungere la Reggia di Caserta, si diramava verso il Real Sito di Carditello, attraversando e servendo numerosi comuni lungo il suo percorso. Un altro ramo, invece, forniva acqua alla Real Colonia di San Leucio.

Le ambizioni di Vanvitelli non si limitavano alla sola Caserta. Per incrementare, infatti, l’approvvigionamento idrico della città di Napoli, fu costruito il “Tronco di San Benedetto”. Un tratto aggiuntivo che prelevava l’acqua in eccesso dalle fontane del Parco Reale per poi immetterla nell’antico Acquedotto Carmignano, destinato proprio alla città partenopea.

Dal 1997 insieme al Palazzo Reale e al complesso di San Leucio, è stato riconosciuto dall’UNESCO come Patrimonio dell’Umanità.

I Ponti della Valle, come vengono chiamati oggi, è possibile ammirarli ogni qual volta si percorre la strada che da Maddaloni porta verso il territorio beneventano, l’accesso alla struttura interna con il percorso degli archi è visitabile sono in alcune occasioni.